NEGLI ANNI '50- '60
Piero Chiara
(L’Italia, Milano, 1950)
“...Ci ha dato (…) rare immagini del nostro tempo e d’un ambiente ricco di
imprevedibili poesie. Emilio Scampini nell’opificio paterno ha incontrato quelle
Muse che temeva onestamente d’ingannare...”
Commissione giudicatrice del Concorso Cinema e teatro del Giorno (Venezia,
1953 per "Il picco delle streghe
innamorate")
"Una favola bella e tragica ad un tempo, concepita e svolta sulla traccia di
note leggende, ma con qualche particolare significazione, come quella che
l'amore per l'arte é talvolta inconciliabile con l'amore per la famiglia.
Indubbiamente, a prescindere dall'intenzione di questo racconto fiabesco
dialogato, siamo sul terreno della poesia.
Enzio Di Poppa Vòlture (Ausonia, n.i XI/XII, Siena,
1954)
“...Ciò che più attira in questo poeta è il suo aperto menefreghismo nei
riguardi della letteratura, e il suo cantar tutto, anche quello che altri
disdegnerebbe, e in tutto saper trovare la nota che colpisca il cuore o la
fantasia.
Walter Vedrini (La Prealpina, Varese, 1954)
"...è qui che la voce del poeta si fa distinta, singolare: voce lombarda,
isolata dalle altre voci, perfettamente intonata agli stati d'animo che si
susseguono: variazioni fresche, sentite, su un tema unico, il lavoro e il riposo
delle genti all'ombra degli opifici, custoditi intorno dalla brughiera... C'è la coerenza tra il sogno e la realtà, tra la vita di ogni giorno e la vita
vagheggiata, sognata. Perciò nella sua struttura quest'opera è viva e
attualissima: ci mostra un'anima che duramente combatte con se stessa per
ricondursi alle origini pure del canto".
Tra realtà e sogno è il mondo da cui nasce questa raccolta, in cui appunto fantasia e non fantasia, fondendosi, creano una fantasmagoria di immagini e di colori, che hanno la rara virtù di riposare lo spirito.
Stefano Viola (Cinema e Teatro del Giorno, Venezia, 1957 su "Lago Nero")
"...L'autore tratta un tema che, se non nuovo, riveste i personaggi con tale
sostanza interiore drammatica da erigerli al di sopra del comune, dando loro
fisionomia universale.
Enzio Vòlture (Ausonia, Maia 1957) su "Lago nero"
"Serrata nel dialogo e avvincente nell'intreccio è questa fantasia che Scampini
ha voluto convertire in azione scenica, collocandola in uno scenario alpestre a
lui particolarmente caro.
Bene caratterizzati anche i personaggi, specialmente Daniele, apparentemente
impassibile nel suo amore chiuso ma vigilante, e la moglie Amara, la creatura
irrequieta e insofferente che, alla fine, nel confronto, scopre la solitaria
superiorità del marito rispetto alla cialtroneria dei dongiovanni da strapazzo.
Da questo lavoro ci sembra vedere in Scampini una particolare attitudine per il
teatro...
Ubaldo Brenna (L’eco di Roma, Roma, 1957)
“...Non vorrei errare se (personalissima mia impressione e classificazione) lo annoverassi tra i poeti della nuova corrente di “realismo lirico”. Forse migliore definizione non saprei trovare di questi versi. Spontanei, scarni, senza ricercatezze e ridondanze, ti danno invece (senza volerne avere l’aria) poesie levigate, lavate e terse come un cristallo...”
Domenico François (Cinzia, Firenze, 1958) su "Poesie"
“...Veramente il suo cuore può
dirsi “sepolto a brani” “sotto l'erba della sua terra”(1)
lombarda, dove ancora e sempre ascolterà, nelle “appannate notti”, “l'orchestrina
dei grilli” che “ cantano di saghe antiche” .... “e di romantiche
favole quiete, / nell'ottocento pieno d'amore”, quel tempo che sovente egli
ripensa, sentendo l'anima “sfasciarglisi dolcemente” (2).
Sì, caro Poeta, tu pure sei un nostalgico del sentimento, un sopravvissuto, un
innamorato dei grandi ma oggi irrisi ideali, in un mondo che va in frenesia per
le “ragazze esplosive” e per gli assi del piede o - preso da babelico
orgoglio - farnetica dietro illusori assalti al cielo.
Ma, alle fugaci e irresuscitabili imprese del “confidente ingegno”, egli
ha saputo contrapporre la certezza di un'altra non transitoria costruttività che
gli fa gridare: “La vita è anche qui / purché si sappia trovare l'immenso”
(3), ché, se “lo zingaro cantore”(4) - come ama definirsi - ha dovuto
anche esulare, ha pur saputo accettare quella legge arcana che, evangelicamente,
è racchiusa nel monito “chi vorrà sa1va la propria vita per ciò stesso la
perderà” e che, profanamente, è sintetizzata nel motto ibseniano “gettar via per
non perdere”.
E se l'irrevocabi1e “credula giovinezza” più non gli arride con le sue
grazie e i suoi estasianti abbandoni, ben la Poesia - come intuizione e visione
- gli scandirà sul suo “Flauto
verde”
la musica di sovrumani concerti e lo avvolgerà di una ultrareale indissolubile
luce: quella di un Nume tutelare, esecrato talvolta, benedetto sempre, “poi
che di te - egli dice - non posso fare a meno. / Per le tue menzogne. /
Per la tua misericordia” (5) (….).
Resta insomma in lui quella inconcussa fede che ha il potere di splendere al di
sopra e oltre ogni bruma morale per dettargli canti solari, come nel suo
magnifico e recente “Ritrovamento
di Alceo”
in cui ci sembra riudire Saffo o Anacreonte e sulle cui strofe pare trascorra,
danzante a “piè leggero”, di nietschiana memoria, uno spirito convibrante con
g1i esseri e le cose del creato.
A ragione, questi componimenti sono stati rassomigliati a “I canti di Mèlitta”
del Lipparini e defìniti capaci di ridarci gli incanti dei preclari frammenti
dell' “Antologia” greca ...".
(1) da "Addio
alla brughiera"
(2) da "Abbozzo"
(3) da "Reazione
ed equazione"
(4) da "Supremo
desiderio"
(5) da "Bugiarda"
Lionello Fiumi
(Verona, 20 novembre 1961)
“...Trovo
nei suoi versi tanta umanità che me li fa cari. Quanta purezza in quel “Ramarro”,
quanto senso pittorico in quel “Temporale
di primavera”
che fa pensare proprio alla miglior pittura lombarda di fine Ottocento… Mi piace
la semplicità del suo stile, così limpido, in mezzo a tante tortuosità
inconcludenti di tardi ermeticonzoli!...”
Giovanna Bonomonte
(Labor, Palermo 1962) su "L'arte di Fogazzaro"
"...riesce ad essere un quadro condotto con disinvoltura e non senza perizia
dei più noti ed accreditati giudizi critici e ci offre ad un tempo l'opportunità
di metterne in forse parecchi...riuscendo, a nostro parere, assai convincente
soprattutto nel qualificare la nota caratteristica dell'arte fogazzariana:
l'impressionismo..."
Stefano Crespi
(LA BREVA, Porlezza 1966) in "Un poeta del Ceresio"
"...Nell'intimità arcana di uno studio ricco di innumerevoli libri, ho avuto
varie volte il conforto di conversare con lo scrittore e poeta. La sua figura
slanciata, tanto misurata nei gesti, pare sempre rianimarsi e la sua voce
colorirsi quando il discorso corre al 'bel lago Ceresio' dove si specchia la
poetica Valsolda, a tutti nota come il «Piccolo Mondo Antico» dell'umile e
grande storia di Franco e Luisa: angolo di montagna che è stato anche la 'valle
incantata' dove egli trascorse la giovinezza, tra ' ... l'odore dei pascoli / la
serenità dei monti / e il silenzio dei paesi / pensili sulla riva'.
Non è compito nostro quello di voler collocare ad ogni costo questo autore nella casella di un movimento letterario, o pretendere di misurarne la dimensione umana ed artistica, o infine ricercarne le ragioni che hanno dato origine alla sua poetica: converrà forse accostarci alle sue liriche assolutamente privi di ogni pregiudizio e lasciarci invadere dal fascino e dalla commozione che esse sanno certamente esercitare sugli spiriti delicati. Scopriremo un ricco mondo poetico, fuori da ogni interesse di scuola o di tendenza, ma raccolto intorno ad una solitaria esperienza di vita: in un ininterrotto colloquio con questa natura a noi tanto familiare
Non penso di essere in errore, se credo fermamente che proprio qui, lontano dal
'rumore assordante' della metropoli, dai 'capannoni di polvere e tedio'
dell'industria paterna, si sia alimentata la ispirazione di questo poeta: tanto
più schietta ed autentica, in un mondo, che, teso così sfrenatamente ai valori
economici ed al progresso, sembra avere smarrito invece i valori essenziali
della vita, rinserrando l'uomo moderno in un orizzonte di angoscia esistenziale.
E in un'atmosfera sognante, lievemente musicale, che tutto sembra avvolgere come
in un alone fantastico, il poeta riveste e trasfigura liricamente tutti i
ricordi e le nostalgie, i sogni e le speranze, le delusioni e le amarezze della
sua anima sensibile: la passeggiata in barca con la Sirenetta, il turbamento del
primo bacio, il dialetto dei pescatori che si spande calmo ' sul lago
addormentato', le allegre brigate dei crotti.
Un afflato poetico ricupera e riscatta la miseria della vita umana, rendendola
degna di essere vissuta, dà sapore e calore ad ogni realtà: e l'universo - per
molti una bolgia di noia e di nausea - non è che una 'fiaba' meravigliosa dove a
lui piace smarrirsi in compagnia della sua cara".