CRITICHE POSTUME
·
Piero
Rimoldi
-
da
"Carlo
Mainini"
(Tesori
nascosti
-
Polo
culturale
del
Castanese
-
2007)
"...L’unico scritto dedicato a Carlo Mainini è costituito da un articolo intitolato "Scoperta di Carlo Mainini" a firma di Emilio Scampini, comparso sulla rivista "Como", n.2, anno 1977.
Lo Scampini è attendibile in quanto ha conosciuto e frequentato il Mainini, con reciproca stima e rispetto: nella biblioteca del Mainini è presente un testo dello Scampini: "Nuvole sul Duomo".
Le
notizie
riportate
dallo
Scampini
sono
state
verificate
ed
integrate
con
testimonianze
verbali...
Per quanto riguarda la tavolozza riporto un passo dello Scampini che ritengo sufficientemente attendibile e probabilmente influenzato da Mainini stesso, data la conoscenza approfondita tra i due: "I suoi colori preferiti, a parte i turchini spenti e i grigi di certi pascoli alpini (...), sono i gialli e gli arancioni. Poco il verde e il rosso. Nel giallo c’è la sua maggiore fonte di luce. Il giallo non manca mai sia nei suoi ritratti che nei paesaggi più luminosi, nei fiori, nelle figure, nei capelli dei suoi "Cristi", ove il giallo non sta ad indicare che Gesù era biondo, ma che la sua testa è sorgente di luce"(…)
Un soggetto che si ripete è quello del vaso di fiori (…). Osserva lo Scampini: "Non c’è affatto bisogno di scompigliarli nel loro mazzo ordinato, di farli magari ricadere fuori dal vaso. Li sbriciola già la luce in mille pagliuzze iridate, ove il giallo ti abbaglia gli occhi"...
·
Felice
Monolo
-
Introduzione
a
"I
23
racconti
del
Ticino"-
ottobre
2006
"I
racconti
di
Scampini
formano
come
un
unico,
grande
dipinto
scritto
di
un
"piccolo
mondo
rusticano"
di
un
tempo,
limitato
dalla
breve
striscia
di
terra
tra
la
brughiera,
i
vigneti,
la
pianura
con
la
vena,
al
centro,
del
Ticino.
Con acuta sensibilità lo scrittore dalla memoria diretta e dalle "storie" arrivate a lui per trasmissione orale estrae personaggi appartenenti alle diverse categorie sociali, dando maggiore rilevanza a quelli di umile origine, che vivono ai margini della grande storia e intanto raccontano una loro storia, sostenuta da un dialogo vivo e picaresco che mette bene in risalto il carattere dei personaggi.
Nella
lettura
si
assiste
al
dispiegarsi
di
passioni,
gioie,
dolori
di
un
tempo,
ma
senza
le
implicazioni
e
le
complicanze
di
oggi,
perché
la
gente
allora
era
"semplice"
nel
bene
e
nel
male.
Alcuni racconti per l'equilibrio compositivo e il controllo formale sono piccoli capolavori che restano ben fissi nella mente del lettore.
Trascorrono
nella
prosa
di
Scampini
i
due
temi
principali:
l'amore
e
la
morte
uniti
e
sentiti
con
struggente
tormento;
l'amore
è
passione
travolgente
che
approda
o
alla
delusione
cocente
o
all'annientamento
di
sé.
Il tutto è detto con uno stile scarno, essenziale, scavato, direi, dentro la carne dei personaggi, mentre la lingua italiana è piegata alla cadenza dialettale ed è come il canto della rusticità e riflette l'animo del paesaggio: irto, della brughiera, idillico, delle prime alture, disteso, della pianura.
".... zone d'ombra, chiazze viola e nere nelle rughe umide, tra i broli grigi e tra sassi e pietre ... E intorno le campagne coperte di neve, i boschi spogli, l'arida brughiera di Lombardia" (da "Sosta nella brughiera") .
"...
il
falso
altopiano
...
era
tutto
un
rosseggiare
nel
sole
del
tardo
autunno,
con
toni
cangianti
dal
giallo,
all'arancio,
al
marrone,
alla
porpora"
(da
"Il
vino
di
Mezzomerico").
"Poi,
entrati
nel
Naviglio,
le
rive
si
facevano
più
strette
che
in
qualche
punto
il
barcone
quasi
le
sfiorava.
Allora
sembrava
di
navigare
sulle
erbe
dei
prati
e
delle
campagne,
che
nemmeno
più
si
vedeva
l'acqua
se
non
a
prua
e
a
poppa"
(da
"Il
barcone
dei
can").
Per non dire degli usi e costumi di un tempo dei quali rimane particolarmente impressa la Processione che è tutta un colore:
"bambine
...
con
veli
bianchi,
...
donne
nere
con
in
mano
candele
accese
...
,
stendardi
damascati,
uomini
con
tonache
blu.
Poi
camici
bianchi
con
mantelline
rosso
fiamma.
Quindi
la
banda
coi
suonatori
in
divisa
verde
e
bottoni
d'oro
...
" (da
"Sosta
nella
brughiera").
Questo
e
altro
ha
scritto
Scampini
nei
suoi
racconti
che
sono
preziosi
per
la
memoria
storica
e
ancora
di
più
per
la
sapienza
poetica
con
la
quale
egli
è
riuscito
a
rappresentare
uomini
e
cose
da
trasmettere
a
noi
e
a
chi
verrà
dopo.
·
Gabriele
Pagani
-
Introduzione
a
"Valle
Intelvi
segreta"
,
EDLIN,
Milano
2006
(www.edlin.it)
"Lo ricordo bene, quel volto! Solenne e severo, se pure soffuso da una traccia lieve di bonomia, aduso come era all'insegnamento e alla complicità degli allievi, indispensabile per ottimizzare il risultato.
Uomo delle grandi solitudini Emilio, dei tanti silenzi e, in una perenne contraddizione, della grande generosità per gli amici.
Ho conosciuto la sua stagione delle speranze, della passionale velleità di chi, attraverso l'arte, la letteratura, la ricerca, si ribella ai retaggi ancestrali della società, nel suo perverso divenire.
Con
lui
e
il
suo
grande
amico
Franco
Cavarocchi,
grande
esperto
dell'arte
dei
Magistri
Comacini
e
altri
studiosi
e
appassionati,
in
tante
estati,
a
Scaria
d'Intelvi
nel
salotto
di
Monalda
Pirovini
o
alle
goliardiche
polentate
al
Pesciò,
sotto
il
Monte
Generoso,
a
sviluppare
il
rito
antico,
ripetuto,
vaticinante,
dei
progetti
e
dei
sogni.
L'arte della poesia gli era connaturale. Prodiga è stata Calliope, con Emilio Scampini. Così, come quella dell'osservazione e della riflessione. Ha iniziato pertanto a raccontare i fatti, i volti, le vicende, con dolcissime pennellate di colore e di lirismo. Ne è sortito un dipinto straordinario dove, in poesia, scorrono sessant'anni di storia di una Valle Intelvi arcana, misteriosa, stupefacente.
A
soli
diciassette
anni,
quando
è
d'uso
lasciarsi
cullare
ai
primi
disorientanti
stupori
della
vita,
Emilio
Scampini
-
come
è
testimoniato
da
questa
raccolta
-
già
consegnava
in
versi
i
suoi
ricordi
dell'Orrido
di
Osteno,
dei
pastori
di
Verna
o
di
altre
scrupolosissime
e
mature
osservazioni.
Per
seguire
poi,
come
in
un
caleidoscopio,
la
fantasmagoria
dei
colori
della
fontana
della
Gnima,
del
Monte
Tellero,
della
funicolare
di
Lanzo,
delle
Bolle,
di
cascinali
abbandonati,
di
Ettore
con
la
gerla
e
di
tanti
altri
personaggi,
o
storie,
o
paesi,
che
scorrono
malinconicamente
sul
filo
della
reminiscenza.
E
tanti
non
ci
sono
più.
Case,
volti,
pietre,
mulini,
tutti
ingoiati
dal
buio
dell'oblio.
Ci
sono
molti
modi
di
scrivere
la
storia
di
una
valle.
Emilio
Scampini
ha
scelto
quello
più
sorprendente,
quello
al
quale
molti
di
noi,
forse,
neppure
pensavano:
descrivere
cioè
in
poesia,
in
un
soavissimo
lacerante
scorrere
del
tempo,
una
valle
a
tutti
noi
cara
e
che
percorremmo
assieme,
io
giovane
suo
amico,
tra
boschi
e
pascoli
e,
con
altri
suoi
amici,
dal
balcone
dei
sogni.
Neppure i più minuziosi libri di storia locale colgono il segno del tempo, che muta su pochi significativi avvenimenti, come antiche coltivazioni superate da nuovi modi di operare, o il chiassoso, fors'anche sguaiato bagno di giovani nelle vasche di pietra della fontana o del lavatoio, per un divertimento di poveri, o il carrettino di dolci che sale ai monti per la festa annuale tra cascinali, ora diruti o scomparsi del tutto e che neppure più le carte topografiche rilevano.
Fatti
troppo
piccoli
per
essere
raccontati.
Ma
grandi
a
sufficienza
per
dare
vita
ai
giorni
di
tante
generazioni,
per
capirne
l'anima,
l'essenza,
il
"D'indèi
d'indè"
(il
celebre
"Da
dove
vieni,
dove
vai",
titolo
al
libro
di
Pigra
di
una
decina
di
anni
fa)
della
vallata.
Se
poi
a
scrivere
questa
storia
in
poesia
è
uno
storico,
come
lo
fu
Emilio
Scampini
e
come
è
attestato
dalla
sua
opera
"Carlo
Barrera
Pezzi,
lo
storico
di
Valsolda",
in
cui
l'Autore
dimostra
di
sapersi
destreggiare
con
maestria,
tra
pergamene
o
il
rigore
filologico
del
documento
antico,
il
risultato
non
può
che
essere
un
prezioso
dono
a
tutti
noi.
Gliene
siamo
grati".
·
Daniela
Giunco
(tratto
da
LAGO
E
TERRITORIO
-
Il
settimanale
della
Diocesi
di
Como
-
30
agosto
2008)
"...Leggendo
i
suoi
versi
sembra
di
rivederlo
ancora
Emilio
Scampini,
camminare
solenne
e
severo
lungo
i
sentieri
delle
sua
valle,
quella
valle
che
lo
accolse
bambino
gracile
dalla
salute
malferma;
lo
vide
adolescente
poi,
inseguire
incantato
la
bellezza
domestica
dei
pendii,
dei
boschi,
dei
vicoli
nei
paesi
stretti
nelle
pietre
come
piccoli
scrigni
e
poeta
infine,
dipingere
coi
suoi
versi
quella
armonia
arcana,
fatta
di
solitudini,
silenzi
verdi
in
cui
i
lampi
di
colore
del
cielo
o
di
un
d'autunno
accendono
improvvisi
riverberi.
Della Valle d'Intelvi ha potuto cogliere ogni vibrazione segreta, la sua è stata una poesia pittorica per eccellenza. Utilizzando la lingua del raccontare quotidiano impreziosita da vocaboli inusuali ha fissato immagini che restano indelebili nelle memoria.
Si leggano ì versi dedicati al paese di Verna: "Ti lascio nel tuo sole dipinta / Verna, coi tuoi prati, coi monti / straordinariamente verdi ancora, / coi gerani nei vasi e le petunie / squillanti ancora di colori / in questo caldo, persuasivo autunno / di lucentissimi cieli. / Rimani qui col tuo bel sole, / Verna, col canto in gola sempre / della tua acqua alla fontana".
E si veda come la capacità evocativa delle parole assume una valenza pittorica: mentre leggiamo, l'immagine di Verna si fissa indelebile nella memoria con linee nitide di solenne, pacata classicità.
Ritroviamo
nei
versi
un'affinità
con
il
miglior
Carducci,
non
il
vate
magniloquente,
ma
l'uomo
di
profonda
sensibilità
e
delicati
affetti,
una
sintonia
di
immagini
e
linguaggio:
al
Carducci
lo
avvicina
la
sensibilità
per
una
natura
còlta
nella
vigorosa
ed
essenziale
semplicità
delle
forme,
quel
sentire
la
dimensione
naturale
pervasa
da
presenze
divine,
antiche
divinità,
arcane
presenze
che
si
materializzano
in
momenti
particolari
di
sospensione
del
rumore
della
vita
e
d'incantesimo
quando,
"tutta
la
valle
stava
beata
/
in
braccio
al
sole.
/
Immobili
i
castagni
/
del
monte.
E
l'erbe
dei
prati
/
di
Scarpogna
arse,
/
recline
già
la
falce.
/
Egli
era
là,
nel
mezzo,
il
dio
/
pagano,
d'ebano
e
di
rame,
/
nudo
luccicante,
/
protetti
solo
i
fianchi
da
un
paio
di
calzoncini
celesti,
smunti.
/
Falciava
muto,
con
ritmo
bellissimo
di
gesti
...".
E'
l'incantesimo
del
divino
che
traspare
nella
semplicità
dei
paesaggi
naturali
e
nei
gesti
degli
esseri
umani
ad
affascinare
Scampini
e
noi
suoi
lettori,
un
incanto
che
il
passare
del
tempo
può
incrinare
e
distruggere,
ma
che
solo
la
poesia
può
mantenere
inalterato
nelle
immagini
della
memoria
e
sottrarre
alle
ingiurie
degli
anni
come
vorrebbe
fare
il
poeta
con
il
melograno
di
Osteno:
"Uno
più
bello
non
l'ho
mai
veduto.
/
Proprio
presso
l'erboso
limitare
/
del
cancello
che
all'Orrido
conduce
/
sta
acceso
come
un
grande
candelabro
/
ed
addosso
incollate
fiamme
vive.
/
Vorrei
poterlo
portare
là
dentro
/
accanto
al
trono
della
mia
Malombra
/
e
ai
suoi
riverberi
ancora
stupire
/
d'una
mia
folle
giovinezza
antica".
Come nella classicità più autentica, il mondo naturale diventa per Scampini fonte di linfa vitale e nuovo vigore a cui attingere "una folle giovinezza antica". Ecco dunque negli ultimi testi il rimpianto per quei luoghi, per quella casa di Verna, tanto amata, lo sgomento per quei sentieri perduti di ricordanze di stagioni infrante e l'illusione che almeno là nella casa tornino gli spiriti dei morti, perché agli spiriti piace tornare dove vissero ore felici.
Di
certo
lo
spirito
di
Scampini
vive
per
sempre,
nella
sua
valle
e
nei
luoghi
che
tanto
ha
amato.
Giuseppe Leoni (da "Altomilanese" - 26 settembre 2018)
Ho conosciuto Emilio Scampini da vicino, nella fase ultima della sua vita. Veniva a Turbigo al sabato pomeriggio con in mano ogni volta alcuni fogli battuti a macchina che contenevano un "Racconto del Ticino" con annessi e connessi (fotografie, disegni, ecc.) e ci accordavamo per la pubblicazione su "Il Ticino mese", la rivista illustrata che a quel tempo dirigevo.
A mia volta poi portavo le bozze in quel di Bienate, nella casa avita, per verificare se ci fossero degli errori nel proto e, ricevuto il suo ok, si andava in stampa.
Ne abbiamo pubblicati tanti di questi racconti (23) che la figlia Malombra ha raccolto nel 2006 in una pubblicazione che il Comune di Magnago ha pensato bene di editare.
Non solo, ma la figlia, il cui nome è ispirato alla figura e all'opera di Antonio Fogazzaro (di cui Scampini fu una dei maggiori critici italiani), ha allestito un sito internet dove ha raccolto la biografia e le opere del padre.
Lo stesso che abbiamo cercato di fare noi per Angelo Lodi, grande amico di Scampini, una volta che abbiamo visto che la sua presenza non era registrata nei social.
Proprio perché il nostro territorio, animato com'è dalla bellezza del Ticino, è stato attaversato dalla "penna" di tanti scrittori nella sua storia millenaria, non bisogna dimenticarne nessuno.
Uno dei primi che ne scrisse fu Carlo Porta, famoso esponente della poesia dialettale milanese, che nel "Brindisi del Meneghino" del 1815 passa in rassegna i vini che allora si producevano nell'Altomilanese e tra questi considera il vino di Castano "brillant e giuios" (succoso), ma soprattutto quello di Buscate, chiedendo che gli venga portato un "martin" cioè un fiasco: "Scià on martin de Buscàa", un verso che ha dato il nome al noto ristorante buscatese.
Un altro poeta dialettale milanese, Delio Tessa, che di professione faceva l'avvocato, agli inizi del Novecento veniva spesso dalle nostre parti con il "Gamba de Legn" e sul tramvai incontra il "Togn d'Inverun", che nessuno vuole nemmeno all'ospedale, e ne tratteggia la figura dolorosa.
Anche Carlo Emilio Gadda ebbe l'occasione di frequentare i nostri paesi da cui trasse l'ispirazione...
Ma in testa a tutti ci sono i NOSTRI Emilio Scampini e Angelo Lodi, che hanno sentito il palpito della vita del nostro territorio da vicino, ed è bello riscoprirli....